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Staffetta - Originali [il Cielo]

Ultimo Aggiornamento: 26/03/2010 13:31
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Post: 591
Sesso: Femminile
26/11/2009 21:38

Eccomi!

L’angelo



Serena rimase ferma a contemplare il lavoro appena finito. Niente male. Con lo sguardo percorse i tratti a cui aveva appena ridato vita, si scostò leggermente, per cercare di avere una visione d’insieme: il grande affresco medioevale, dopo anni di incuria e abbandono in una piccola chiesa di provincia, stava finalmente tornando alla luce con tutto il suo originario splendore. Serena rimase a bocca aperta. Le sembrava quasi impossibile che le sue mani avessero potuto contribuire ad un miracolo così grande: no, lei aveva solamente tolto il velo di polvere che l’umanità, girovaga e cieca, aveva lasciato che si depositasse su quel piccolo tesoro, ed evaporata la trascuratezza, l’affresco sarebbe rimasto su quella parete per almeno un altro millennio, e quando sarebbe sbiadito di nuovo, altre mani, amorevoli come le sue, lo avrebbero restaurato un’altra volta.
Il suono delle campane la fece sobbalzare, tanto che per poco non rischiò di cadere giù dall’alta impalcatura. Ripresasi dallo spavento, guardò ancora una volta il dipinto prima di scendere a terra: nell’angolo di un vasto giudizio universale, un angelo, mentre stava accompagnando le anime dei salvati in paradiso, si voltava verso la schiera di dannati che precipitava all’inferno, e il suo sguardo tradiva un’emozione complessa e allo stesso tempo impalpabile come una ragnatela bagnata dalla rugiada del primo mattino, impercettibile da terra ma ben chiara a Serena, che ora, a soli pochi centimetri da quella maestosa figura alata, si chiedeva come mai quegli occhi tradissero una malinconia pungente, venata di rimpianto.

L’angelo planò dolcemente nella chiesa e con un lento, unico battito d’ali raggiunse il fondo della navata, per poi appollaiarsi su di una sporgenza. Nulla era più tranquillo. I fedeli della piccola parrocchia, le cui anime egli era solito confortare con battiti dolci e cadenzati delle ali, atti a scacciare via i dubbi e far posto nel cuore per la fede e la gioia, non erano presenti, e nemmeno uno di loro osava entrare nella chiesa, invasa da ogni dove con impalcature e attrezzature. Sbuffò, spazientito. Sentiva che i cuori di quei piccoli umani che si affaccendavano sulle impalcature per restaurare la chiesa erano lontani e freddi alla sua luce. Come guardare una fila di formiche che cammina verso l’ignoto. No, non provava pietà.
Ma d’improvviso cambiò qualcosa. I suoi occhi captarono una luce. E la luce gli illuminò il cuore.

Serena camminava tranquilla per la città, a passi lenti e misurati, sotto la pioggia. Solo un vivace ombrello arancione nella folla. Alzò per un attimo lo sguardo verso l’alto.
Dio piangeva mai?
Continuò a camminare, sorda ai rumori del traffico.
Dio sapeva che lei piangeva?
Con una fitta al cuore ricordò che come la pioggia lavava via le impronte dei suoi passi, così il tempo avevo cancellato l’affresco della chiesa, e il tempo, un giorno, avrebbe cancellato anche lei.
Magari la fede fosse stata qualcosa da riportare alla luce con qualche pennellata di colore.

Dio non piangeva, ma gli angeli sì. Quello in particolare reclinò la testa all’indietro e si lasciò lavare il viso dalla pioggia acida che da secoli non sapeva più d’acqua. Gli occhi vuoti di lacrime si lasciavano accarezzare dalle gocce.
Cerca i puri di cuori, e conducili a me.
E per farlo, un dono speciale: saper leggere i cuori, vederne la luce. E un sorriso crudele.
Ma non te ne innamorare.
L’amore non è per gli angeli. L’amore è umano e conduce lontano da Dio.
Così umano. Gli occhi vuoti di lacrime si lasciavano pugnalare dalle gocce.
Guardava la ragazza camminare e lacrimava dentro il petto per il dolore di lei, che poteva sentire in ogni singola stilla di sangue, e per la sua luce, così pura, così luminosa nell’atmosfera plumbea.
Lasciala lì, urlava qualcosa dentro la sua testa. Potrai tornare a guardarla quando vorrai e assaggiare un po’ del suo dolore. Lasciala lì, piccolo bonsai di un giardino proibito, e mai puro fiore nell’Eden.
Cercherò i puri di cuori e li condurrò a te, Signore. E farò attenzione. D’altronde, l’Inferno cos’altro era, se non una via costellata di cartelli con scritto “Pericolo”?
Gli occhi vuoti di lacrime si lasciavano seppellire dalle gocce.

Serena si svegliava e non pensava più ai dolori di ieri. L’affresco la aspettava. A volte pensava che il cuore le si sarebbe crepato da un momento all’altro, come un dipinto spezzato da una scossa di terremoto. E la crepa sarebbe rimasta lì per sempre, senza che nessuna mano amorevole potesse risistemarla. Scivolò lentamente fuori dal letto e dal caldo del suo piumone. A terra, sul parquet, trovò una candida piuma.
Sei venuto a prendermi?
Una strana smorfia le illuminò il volto.

L’angelo sorrise di un sorriso di pura gioia. Sì, sono venuto per te. Dischiuse le grandi ali e con la punta di una di esse sfiorò la guancia della ragazza. La sua prima carezza e gli parve così dolce da spezzargli il cuore. Serena rabbrividì, spaventata. Ma certo, lei non poteva ancora vederlo.
L’angelo sorrise di nuovo e dentro di sè nascose la luce purissima del peccato.
Presto si sarebbe rivelato e avrebbe potuto tenerla stretta tra le sue ali, avrebbe potuto farla volare lontano.
Assaporò lentamente una gioia che non gli apparteneva.

Serena si vestì e andò a lavoro. Teneva in tasca la piuma che aveva trovato di mattina. Aveva sentito uno spiffero freddo e qualcosa di vellutato le aveva sfiorato la guancia. D’improvviso un’insolita sensazione di gelo si era impossessata di lei e l’aveva fatta rabbrividire, contraendo i piedi nudi a contatto col pavimento. Ma poi aveva capito e aveva sorriso. Nonostante la paura, la morte le sembrava dolce.
Quel giorno, Serena inciampò in un cavo e precipitò giù dall’impalcatura, spezzandosi il collo. Nell’ultimo attimo di lucidità, aveva tentato di aggrapparsi all’aria, ma nessuna mano l’aveva presa al volo.

Da lontano, l’angelo aveva avvertito che il piede di Serena si posava in fallo. Aveva volato più forte che mai, sforzando i muscoli fino a farli bruciare come catene incandescenti e al contempo gridato parole incomprensibili di una lingua morta da millenni, incurante che gli umani potessero sentirlo. Aveva sentito il vento bruciargli gli occhi con migliaia di aghi e i tendini sforzarsi fino alla spasimo, ma aveva continuato a volare, sfrecciando veloce sopra la città. Ma quando era arrivato nella chiesa il corpo di Serena giaceva già a terra, l’anima esalata in un ultimo soffio, e nella mano la sua piuma. L’angelo conobbe il dolore, conobbe la disperazione e perse la luce. Conobbe il buio e si dimenticò di se stesso, conobbe il sangue e il crepuscolo.

Al funerale c’erano poche persone, vestite di nero, e un essere luminoso e bianchissimo che emanava puro dolore. Quando la funzione finì, tutti se ne andarono con passo mesto, strascicando i piedi sulla ghiaia dei vialetti: solo l’angelo rimase. Sentiva il proprio corpo pervaso da brividi e i muscoli delle ali tirare violentemente, desiderosi di aprirsi. Da quando Serena era morta, non aveva più volato, e il suo corpo si ribellava a quella decisione. No, non avrebbe volato mai più. Con passi goffi si trascinò fino alla lastra di marmo grigio che sovrastava la tomba della ragazza, tirandosi dietro le due ali come cenci sporchi di un passato che non gli apparteneva. Era consapevole di aver sbagliato e di star camminando, come un bambino che muove i primi passi, lontano dalla luce di Dio. Se avesse potuto fare di più, volare più forte, donare a lei quelle ali scomode e straziate, che l’avrebbero salvata dalla caduta mortale. Ma il Tempo passava ed egli era caduto insieme a lei, in ben altri abissi, in ben altre morti. Smise finalmente di incespicare, fermandosi davanti alla sepoltura. Poi alzò un piede, poi l’altro, e infine salì sulla lastra di marmo e si sdraiò. La sua luce si andava spegnendo velocemente, come un crepuscolo fulmineo, mentre lui moriva. Dischiuse le grandi ali, soffici di piume bianche, e lasciò che il suo ultimo respiro rotolasse fuori dalle labbra.

“Mamma, mamma, un angelo! Guarda! C’è un angelo!”
E un angelo c’era davvero, illuminato dalla luce diffusa del primo mattino.
Ma la clessidra si riempì e svuotò innumerevoli volte, e la leggenda dell’angelo nel cimitero fece il giro del mondo. “Una statua, ovviamente” commentavano gli scettici, mentre gli appassionati di misteri cadevano in lubridio. E la clessidra si riempì e si svuotò altre innumerevoli volte, e l’angelo perse le piume e le carni, finché non rimase che un nero scheletro.
“Mamma, mamma, un demone! Guarda! C’è un demone!”
Il rosso del tramonto accarezzava distratto quell’oscena impalcatura di ossa su quel corpo così spudoratamente umano. Gli scettici non seppero dare una risposta, gli appassionati di misteri impazzirono. Un demone sorvegliava quella tomba, diceva la gente, la ragazza era una strega, era dannata. E la leggenda della strega e del suo demone fece il giro del mondo, e così vennero ricordati da tutti. Sotto il nero scheletro, il cuore dell’angelo non sentiva più nulla, cullato per sempre dal dolce sogno dell’amore.

fine



Il prossimo tema è LE ECLISSI! [SM=g1450373]
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