Trovato in rete, Bacharach 2004/ROMA
"Bacharach, lacrime che faranno storia"
-Il grande songwriter chiude all'Auditorium il suo tour europeo. E si commuove. Il racconto del concerto
di Paolo Gallori
Le lacrime di Burt Bacharach sono l'ultima istantanea del concerto alla Cavea dell'Auditorium di Roma. Quando tutti sono in piedi, uniti in un grande applauso, mentre le prime file mettono da parte l'etichetta e si stringono intorno al palco per tendere la mano all'entertainer. Lui si asciuga il viso con il fazzoletto e sorride al più dolce dei commiati. Arrivederci. O addio, chissà...
Il racconto comincia dunque dalla fine. Un epilogo destinato a restare negli annali dell'Auditorium. In molti ieri sera avevano la sensazione di assistere a un momento forse irripetibile. Ufficialmente, per Bacharach era solo la chiusura di una parentesi, l'ultimo impegno di un tour europeo. Ma anche nei suoi occhi umidi si poteva scorgere la fragilità che assale chi, pur di carattere forte e sopravvissuto a tante tempeste della vita, capisce che a 76 anni è meglio non prendere troppi impegni.
La corte interna del Parco della Musica è gremita quando, alle 21:30, Burt fa il suo ingresso in scena preceduto dalla band e dai vocalist. E' un'abbacinante macchia chiara tra tanto nero. Bianche le scarpe da ginnastica, bianchi i pantaloni, chiara anche la giacca, unico tocco di nero la t-shirt. E bianchi i capelli dell'uomo le cui canzoni non invecchieranno mai. Con lui le cantanti Josie James e Donna Taylor e la voce maschile di John Pagano, ultimi interpreti di un repertorio passato attraverso le più grandi ugole d'America. Rob Shrock alle tastiere, Tom Ehlen e Dennis Wilson ai fondamentali fiati, David Coy al basso e David Crigger alla batteria.
Burt si accomoda allo Steinway, indugia sui tasti finché la band non esplode nel refrain di What The World Needs Now. Il ghiaccio è rotto, ma è solo una breve introduzione, un modo per dire "ecco chi sono" senza proferir parola. Poi Bacharach parla per davvero. "Sono onorato - dice - di essere qui a condividere le mie canzoni con voi. Canzoni che ci uniscono, canzoni che abbiamo scritto io...e il pianoforte".
Così, dopo lo scrosciante batter di mani, prende il via un lungo medley, un viaggio della memoria sul candido terzinato doo wop di Don't Make Me Over ("La prima canzone che scrissi per Dionne Warwick..."), sugli inconfondibili fiati di This Guy's In Love With You, sul fervore di I Say A Little Prayer, sul romanticismo di Trains And Boats And Planes.
I musicisti non eccedono in virtuosismi. I sax, il flauto traverso di Dennis Wilson e la tromba di Tom Ehlen spolverano con poche note i classici di Bacharach e contrappuntano le voci. Il gioco delle sezioni, con le tastiere a surrogare l'assenza di archi, è un gioco matematico ridotto all'essenziale, un accompagnamento formalmente ineccepibile che lascia sotto i riflettori la melodia intonata al pianoforte dal bandleader e arricchita dalle evoluzioni vocali dei cantanti, tra jazz, r&b, bossa e nuda canzone.
La musica scivolerebbe via senza un graffio se non fosse per un elemento: la batteria. Un secco percuotere di cassa e rullante, un timbro spigoloso che in alcuni momenti fa davvero a pugni con le delicate armonie che gli girano intorno. Ma è proprio quel set di pelli, acciaio, legno e ottone che spiega tanto di Bacharach. Nel tempio romano della cultura musicale "alta", Burt porta un "pezzo" della sua storia per ricordare a tutti da dove è partito per arrivare fin lì: il pop.
Quello dei primi anni Sessanta, il Brill Building, la fabbrica newyorkese della canzone, dove i songwriter di professione limarono le asperità del primo rock'n'roll, piegandolo alla disciplina della strofa e ritornello e addolcendone immagine, tematiche e sonorità. Ma il merito di Bacharach è di essere andato oltre quegli schemi su cui l'industria costruì autentici imperi. Lui diventò il crocevia del dialogo tra eleganza formale bianca e anima black, scegliendo nella nera e "stirata" Dionne Warwick non solo la sua interprete principe, anche la sua nemesi. Burt sfiorò la bossa e il jazz, ma quanto bastava a far risaltare la sua melodia di nuovi colori. Riuscendo infine a lasciare sulla musica Usa, persino nei difficili e turbolenti anni della contestazione, l'imprinting di un formidabile inventore di temi musicali attento ai moti "di dentro".
L'imprinting che tutti riconoscono in I'll Never Fall In Love Again, Only Love Can Break A Heart, e Do You Know The Way To San José, in cui Bacharach riuscì a trasformare una banale richiesta di informazioni in un capolavoro di ritornello. Altre istantanee. La splendida Josie James si accosta al pianoforte del maestro per una rendition della "torch song" Anyone Who have A Heart.
I primi successi di Bacharach, a partire da Magic Moments, anticipano lo sguardo sul presente. "Negli ultimi quattro anni ho avuto l'onore di collaborare con Elvis Costello. E di scrivere nuove canzoni per un album, Painted From Memory...". Ed ecco fluire il waltz di I Still Have That Other Girl, in cui le "quattro mani" dei due autori sono tanto riconoscibili.
L'ultima parte del concerto è una carrellata sul lavoro di Burt per il cinema. "E' stata una fortuna per me scrivere musica per il grande schermo, temi che vivono ancora grazie a Austin Powers, Austin Powers II e Austin Powers III. Col vostro permesso, ve ne suonerei alcuni...". Scorrono gli indimenticabili Arthur's Theme, What's New Pussycat, Rainbow Keeps Fallin' On My Head, persino un reperto come The Man Who Shot Liberty Valance.
Poi, il silenzio e il buio. Solo un faro illumina dall'alto Bacharach. Seduto al pianoforte, Burt suona e canta con voce sofferta A House Is Not A Home. Versione lunga, il pianoforte e voce spezzato per brevi momenti dal morbido sax di Dennis Wilson, finché la melodia si apre, come un cielo dopo il temporale, al pieno organico della band e dei vocalist. Alla fine Bacharach dice commosso: "La dedico a Luther Vandross (colpito da un ictus nell'aprile del 2003, ndr), sperando che la sua voce, un dono di Dio, torni ad allietarci... Ed infine, ecco una canzone sul dare amore, sul dare amicizia. Che pone l'accento su quel verbo: dare".
That's The Friends Are For è la chiusura "ufficiale" dello show. Burt esce tra gli applausi, ma richiamato a gran voce torna subito in scena. Chiede un traduttore, "perché questa canzone è speciale e vorrei che tutti ne capissero il significato. L'avevo persa e l'ho ritrovata dopo l'11 settembre...". Windows Of The World, datata 1966, la Warwick nella mente, parla delle "finestre del mondo coperte di pioggia...tutti sanno che la pioggia è fatta delle lacrime degli angeli...quanto dovranno piangere perché passi finalmente un raggio di sole?".
E' l'ultimo autentico regalo di Bacharach al suo pubblico. Si torna al punto in cui si era partiti, What The World Needs Now, Bacharach che suona in piedi invitando tutti a cantare con lui. Ancora qualche nota di Raindrops Keep Fallin' On My Head. Standing ovation. Fine.
(20 luglio 2004)