Condominio: non rimborsabili le spese per il godimento della cosa comune

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cicolex
00lunedì 29 settembre 2003 08:21
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con citazione 27 aprile, R. S. convenne, davanti al Pretore di Verona, G. e C. R.

Espose che l’edificio sito in Pastregno, vi Rovereto 28, apparteneva in regime di comunione pro indiviso per la metà ad esso attore e per l’altra metà ai convenuti.

Costoro, infatti avevano acquistato nel 1983 da N. S. il primo l’usufrutto e il secondo la nuda proprietà del 50 % dell’immobile suddetto.

In qualità di comproprietario durante il biennio 1988- 1989 aveva anticipato le spese attinenti al riscaldamento dell’intero fabbricato, alla manutenzione dell’impianto e all’energia elettrica, nonché la delle spese per l’acqua.

Domandò il rimborso e la condanna dei convenuti in solido al pagamento della loro quota pari alla somma di £ 2.669.334, oltre agli interessi e la rivalutazione monetaria.

G.R. (usufruttuario) e C. R. (nudo proprietario) si costituirono e chiesero il rigetto.

Con sentenza 3 maggio 1996 il Pretore respinse la domanda e compensò integralmente le spese processuali.

A seguito dell’impugnazione principale di R. S. e di quella incidentale avanzata dai R., il Tribunale di Verona, con sentenza 7 dicembre 1994, respinse l’appello principale e parzialmente quello incidentale, ridusse la compensazione delle spese di primo grado alla metà, ponendole per il resto a carico di S.; confermò quanto al resto la sentenza impugnata.

La Corte di Cassazione (sez. II, 29 marzo 1999, n. 2987), pronunziando sul gravame proposto da R. S., accolse il ricorso, cassò la sentenza impugnata e rinviò ad altra sezione del Tribunale di Verona.

Per effetto dell’acquisto della metà del fabbricato, si legge nella sentenza, i R. avevano acquisito per legge sia il diritto di concorrere ai vantaggi della comunione, sia l’obbligo di sopportarne i relativi pesi, in proporzione della propria quota, indipendentemente dalla esistenza di una tabella millesimale.

D’altra parte, essendo subentrati nella posizione della dante causa, i suddetti R. implicitamente avevano accettato la tabella millesimale; una volta ricevuta la richiesta di pagamento, non potevano respingerla, limitandosi a sostenere di non conoscere la tabella, che avrebbero dovuto eventualmente impugnare, eccependone l’erroneità.

In ogni caso, il Tribunale avrebbe dovuto prendere in esame la domanda avanzata da S., in quanto era fondata sulla norma di legge, che pone a carico di ciascun partecipante l’obbligo di concorrere nelle spese per le parti comuni.

Riassunta la causa, il Tribunale di Verona (giudice monocratico), con sentenza 9 aprile- 23 maggio 2001, non notificata, respinse l’appello.

Si legge nella sentenza che l’edificio era soggetto al regime della comunione pro indiviso al 50 %, per cui in difetto di maggioranza si doveva ricorrere all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1105 c.c.

In ogni caso, non si trattava di spese per la conservazione della cosa comune, assolutamente indilazionabili, ma di spese per il godimento, per le quali il proprietario non poteva vantare il diritto al rimborso.

Ricorre per cassazione R. S.

Resistono con controricorso G. e C. R.


MOTIVI DELLA DECISIONE


A fondamento del ricorso, il ricorrente deduce: violazione e falsa applicazione degli artt. 370- 371 cod. proc. civ., avendo il Tribunale di Verona confuso il controricorso (art. 370 cod. proc. civ.) con il ricorso incidentale (art. 371 cod. proc. civ.).

Contrariamente a quanto afferma il Tribunale, R. S. non aveva eccepito che i R. dovevano proporre ricorso incidentale, ma si era limitato a precisare che i costoro, nel controricorso davanti alla Suprema Corte, non avevano preso in considerazione alcuna delle argomentazioni formulate da lui nella comparsa di costituzione nel giudizio per riassunzione ex art. 392 cod. proc. civ.

Quindi, non si comprende perché il Tribunale di Verona abbia fatto riferimento ad una pretesa eccezione preliminare dell’appellante, esssendosi egli limitato a precisare che nel giudizio di rinvio non potevano essere prese in considerazione le argomentazioni, che la controparte aveva svolto nella comparsa di costituzione e di risposta.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ., avendo il Tribunale di Verona ritenuto di poter decidere ignorando il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, principio al quale il giudice di rinvio doveva uniformarsi.

In sede di rinvio dovevano ritenersi implicitamente e definitivamente precluse tutte le questioni, che costituivano il presupposto necessario e logicamente inderogabile della pronunzia di annullamento, da ritenersi accertati in via definitiva quali premesse logico- giuridiche della pronuncia di cassazione.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 1100 cod. civ. [1], in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., avendo ritenuto il Tribunale di Verona che non sussistessero i presupposti per l’applicazione appunto dell’art. 1110 cod. civ.

Il potere di gestione del condominio ex art. 1110 cod. civ. sussiste non solo per la conservazione della cosa comune, ma anche per le spese necessarie per il godimento della cosa, in quanto risponde ad un modello moderno e realistico dei rapporti di comunione inquadrare la conservazione del bene in un’ottica dinamica di utilizzo del bene.

Trattandosi di spese per il risarcimento dell’intero fabbricato, per la manutenzione del relativo impianto, per l’acqua potabile e per l’acqua irrigua per gli anni dal 1983 al 1988 dovevano considerarsi spese necessarie per la cosa comune e come tali dovevano essere rimborsate al comunista che le aveva anticipate.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 1105 cod. civ., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., avendo ritenuto il Tribunale di Verona che sussistessero i presupposti per l’applicazione dell’art. 1105 cod. proc. civ.

I signori R. avevano tentato di ottenere la nomina di un amministratore giudiziario ex art. 1105 cod. civ., ma prima il Tribunale di Verona e successivamente la Corte di Appello di Venezia avevano rigettato l’istanza.

Manifestamente infondati sono i primi due motivi di ricorso, attinenti a questioni meramente processuali.

Nel giudizio di rinvio, il Tribunale non ha esorbitato nell’oggetto del giudizio siccome determinati dalla sentenza della Suprema Corte, ne ha ignorato il principio di diritti stabilito dalla pronunzia.

Entro i limiti e nell’ambito delle direttive fissate, il Tribunale ha preso concretamente in esame la domanda avanzata da S. ed ha deciso nel merito.

Per contro inammissibile è il quarto motivo, in quanto del tutto nuovo, posto che non risulta che nelle precedenti fasi del giudizio i R. si siano lamentati dei provvedimenti di diniego relativamente alla nomina di un amministratore, che assumono resi dal Tribunale e dalla Corte d’Appello.

È fondato, per quanto di ragione, il terzo motivo.

La questione di diritto, che la Suprema Corte deve risolvere per decidere la controversia, riguarda la individuazione delle spese, nel caso della comunione della proprietà disciplinata dagli artt. 1100- 1116 cod. civ., delle quali possa chiedere il rimborso il partecipante, che le ha sostenute in seguito alla trascuranza degli altri: ciò suppone la definizione del significato e del valore della distinzione tra le spese di conservazione e le spese per il godimento della cosa comune e la precisa individuazione dei due tipi di contributi.

L’art. 1104 cod. civ., è risaputo, stabilisce che ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune; l’art. 1110 cod. civ. dispone che il partecipante che, in caso di trascuranza degli altri partecipanti o dell’amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso.

Stando ad una recente pronunzia della Suprema Corte (Sez. II, 27 luglio 2002, n. 12568), il diritto al rimborso delle spese necessarie per consentire l’utilizzazione del bene comune, secondo la sua destinazione, spetta al partecipante alla comunione che le abbia anticipate.

La prescrizione dell’art. 1110 cit. deve ritenersi applicabile, oltre che alle spese per la conservazione, anche a quelle necessarie perché la cosa comune mantenga la sua capacità di fornire l’utilità sua propria, secondo la peculiare destinazione impressale.

Servizi essenziali quali la fornitura dell’energia elettrica, dell’acqua, del riscaldamento o anche della video citofonia, in relazione alle cresciute esigenze di sicurezza, tenuto conto del progresso materiale raggiunto dalla nostra civiltà, debbono ritenersi indispensabili ai fini della reale fruibilità di una unità immobiliare destinata al soddisfacimento delle necessità abitative: fruibilità intesa nel senso di una condizione di essa consona all’evoluzione delle necessità generali dei cittadini e dello sviluppo delle moderne condizioni in tema di elementi costitutivi o, se si vuole, di requisiti minimi imprescindibili degli immobili adibiti ad uso abitativo. Dovendo i detti servizi gestiti in tema di comunione essere considerati connaturati all’idoneità stessa dell’edificio a svolgere la sua funzione, non altrimenti che le sue componenti strutturali, le relative spese, in quanto intese non solo alla conservazione degli impianti ma anche alla continuità del funzionamento di essi, vanno, a loro volta, considerate alla stregua delle spese necessarie al mantenimento della funzionalità delle parti comuni dell’edificio, non essendo condivisibile una interpretazione degli artt. 1104 e 1110 cod. civ., che configuri come godimento piuttosto che come conservazione della funzione essenziale di un immobile ad uso abitativo l’ordinaria erogazione di detti servizi: donde la qualificazione delle spese di manutenzione e di gestione delle quali si tratta come spese necessarie.

Il tentativo di estendere l’applicazione dell’art. 1110 cit., in funzione delle rinnovate esigenze abitative, in conformità con le istanze della società attuale, è degno di considerazione e di apprezzamento.

Ma la soluzione accolta contrasta con la disciplina positiva delle spese, che si fonda sulla netta distinzione tra le spese per la conservazione e quelle per il godimento della cosa comune e che i due tipi di spesa regola secondo un regime differente.

Ai sensi dell’art. 12 comma 1 disp. sulla legge in gene reale, conviene muovere dalla distinzione tra il significato proprio delle parole conservazione e godimento, in quanto il significato proprio del termine conservazione differisce nettamente da quello dell’espressione godimento.

La conservazione designa l’attività di custodire, mantenere una cosa in modo che duri a lungo, che non si sciupi.

Per contro, il godimento attiene all’uso (effettuato nell’esercizio del diritto): godimento, quindi, significa ricavare dalla cosa le utilità, di cui la stessa è suscettibile secondo la natura intrinseca e la destinazione, in conformità con i poteri e le facoltà compresi nel diritto esercitato: la distinzione è confortata dalla disamina del sistema.

Occupandosi della distinzione delle spese in tema di condominio negli edifici, la Suprema Corte (Sez. II, 19 giugno 2000, n. 8292) ha avuto occasione di sottolineare la di funzione e di fondamento delle spese per la conservazione e delle spese per il godimento delle parti comuni, con argomenti che possono applicarsi alla comunione, in quanto desunti dall’intero sistema e principalmente dal disposto dell’art. 1104 cit.

La suddivisione si riconduce al fine, che l’obbligazione di contribuire alle spese persegue, ed al fondamento, da cui l’obbligazione medesima ha origine.

Del tutto evidente è la differenza tra il valore capitale di un bene ed il costo del suo uso.

La funzione ed il fondamento delle spese occorrenti per la conservazione del valore capitale, vale a dire per la tutela o il ripristino della sua integrità, sono diversi rispetto alla funzione ed al fondamento delle spese per il godimento.

Le spese per la conservazione sono quelle necessarie per custodire, mantenere la cosa comune in modo che duri a lungo, che non si sciupi. Le spese per il godimento riguardano l’uso effettuato nell’esercizio del diritto: per ricavare dalla cosa le utilità che la stessa può offrire.

La diversità della funzione e del fondamento si riflette sugli oggetti, cui i contributi vanno imputati, perché alla conservazione sono oggettivamente interessati tutti i comproprietari; al godimento invece sono soggettivamente interessati soltanto coloro i quali si trovino, in concreto, ad esercitarlo (oltre lo stesso proprietario, l’usufruttuario, il conduttore etc.).

Le spese per la conservazione, dovute in ragione della appartenenza, si ascrivono e si ripartiscono in proporzione con le quote; le spese per il godimento, originate da un fatto soggettivo e personale, si imputano e si suddividono in proporzione all'us’ ed alla misura di esso.

per la verità, le spese per la conservazione costituiscono delle obbligazioni propter rem, nelle quali il nesso immediato tra l’obbligazione e la res non è modificato dalla interferenza di nessun elemento soggettivo.

Per conseguenza, il quantum resta sempre commisurato alla proporzione espressa dalla quota che, per determinazione normativa, esprime la misura dell’appartenenza.

Pertanto, il contributo è adeguato al godimento che, in ordine alla stessa cosa, può cambiare da un partecipante all’altro in modo del tutto autonomo rispetto al valore della quota.

Quanto alla imputazione ed alla ripartizione dei due tipi di spese, l’ordinamento attribuisce rilevanza decisiva a due dati non omogenei: esclusivamente al rapporto di diritto, nel primo caso; essenzialmente alla relazione di fatto, nel secondo.

Relativamente alle spese per la conservazione, al rapporto di diritto costituito dalla proprietà comune commisurato alla quota; alle spese del godimento, alla relazione di fatto consistente nell’uso compiuto nell’esercizio di una facoltà inerente al diritto di comproprietà (ovvero a quello di usufrutto o al rapporto di locazione) e ragguagliato all’uso.

Quanto detto spiega perché nell’art. 1104 cit. siano previsti due diversi tipi di spese (per la conservazione e per il godimento), contrassegnate da una diversa funzione e da un differente fondamento, mentre nell’art. 1110 siano contemplate l sole spese per la conservazione.

La ragione del trattamento difforme è chiara.

Le spese per conservazione, nel caso di trascuranza degli altri comproprietari, possono essere anticipate da un partecipante al fine di evitare il deterioramento della cosa, cui egli e tutti gli altri hanno un oggettivo interesse.

È perciò coerente che possa chiederne il rimborso il comunista, che le ha anticipate.

Quanto alle spese per il godimento, le quali invece debbono essere sostenute solamente da chi concretamente gode della cosa comune, non avrebbe senso prevedere il rimborso in quanto il singolo comunista le ha anticipate per un godimento soggettivo, che è suo personale che non può riguardare anche gli altri partecipanti alla comunione.

Per completare il discorso, dal collegato disposto degli artt. 1105 comma 4 e 1110 cit. si desume che la seconda disposizione è norma di stretta interpretazione.

La regola generale per i casi, nei quali non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione o non si forma maggioranza , è che ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria (art. 1105 comma 4).

Hanno carattere meramente residuale della anticipazione delle spese nel caso di trascuranza degli altri comunisti e del diritto al rimborso, che resta circoscritta alle spese necessarie per la conservazione della cosa comune, le quali oggettivamente interessano tutti i comproprietari.

Formano oggetto della controversia diversi tipi di contributi: le spese per il combustibile e l’energia elettrica per l’impianto di riscaldamento; le spese per la manutenzione dell’impianto suddetto; le spese per l’acqua potabile; le spese per l’acqua per l’irrigazione del giardino.

È del tutto evidente che le spese per il combustibile e per l’energia elettrica occorrenti per l’impianto di riscaldamento, nonché quelle per l’acqua potabile raffigurano spese per il mero godimento.

Spese per il godimento devono considerarsi anche quelle occorrenti per le piccole manutenzioni dell’impianto (lubrificazioni, messa a punto etc), perché senza di esse l’impianto stesso non potrebbe essere mantenuto in efficienza e utilizzato dai singoli.

Per queste spese dalla legge non è previsto il diritto al rimborso.

Diverso è il caso dell’acqua destinata alla irrigazione del giardino, trattandosi di un bene immobile caratterizzato dalla coltivazione di piante e i fiori che, per il fatto stesso della coltivazione, necessità della irrigazione con continuità affinché le piante ed i fiori siano tenuti in vita e attribuiscano la qualità giardino al tratto di terreno. (il che suppone l’accertamento in fatto trattarsi di un giardino e non di un terreno di rispetto).

Il ricorso, pertanto, deve essere accolto per quanto di ragione, la sentenza impugnata va cassata e il processo rimesso alla Corte di Appello di Venezia, che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità uniformandosi ai seguenti principi di diritto.

Le spese per la conservazione sono quelle necessaire per custodire, mantenere la cosa comune in modo che duri a lungo, che non si sciupi, mentre le spese per il godimento riguardano l’uso effettuato nell’esercizio del diritto, per ricavare dalla cosa le utilità che la stessa può offrire.

Soltanto le spese per conservazione, e nel caso di trascuranza degli altri comproprietari, da accertarsi in fatto, possono essere anticipate da un partecipante al fine di evitare il deterioramento della cosa, cui egli e tutti gli altri hanno oggettivo interesse, e soltanto delle spese per la conservazione il comunista, che le ha anticipate, può chiederne il rimborso.

Relativamente alle spese per il godimento, le quali invece debbono essere sostenute solamente da chi concretamente gode della cosa comune, il rimborso non è previsto, in quanto il singolo comunista le ha anticipate per un godimento soggettivo, che è suo personale che non può riguardare anche gli altri partecipanti alla comunione.

Sono destinate alla conservazione le spese per l’acqua occorrente per la irrigazione del giardino; mentre sono destinate al godimento le spese per il combustibile e per l’energia elettrica necessaria per l’impianto di riscaldamento e per l’acqua potabile.


P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia.

Depositata in Cancelleria il 1 agosto 2003.

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