Ramadan e lavoro nei campi

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-Giona-
00venerdì 14 agosto 2009 12:10
Ho trovato un interessante articolo su un giornale locale della mia provincia:

gazzettadimantova.gelocal.it/dettaglio/bevete-o-sarete-licenziati-scontro-tra-agricoltori-e-islamici...

NEL RAMADAN VIETATA L'ACQUA, I MUSULMANI: DIKTAT ILLEGITTIMO

"Bevete o sarete licenziati"
Scontro tra agricoltori e islamici


Dal 20 agosto, inizio del Ramadan, i musulmani non potranno bere né toccare cibo durante il giorno. Ma per gli agricoltori mantovani che utilizzano gli immigrati per la raccolta nei campi è un problema. Lavorare sotto il sole senza bere può provocare. infatti, malori e insolazioni. Per questo hanno deciso, caso unico in Italia, di imporre ai lavoratori di dissetarsi. Altrimenti saranno licenziati all'istante. La comunità islamica protesta: è una costrizione illegittima

di Giancarlo Oliani
«Se non bevi acqua per dissetarti ti licenzio». E' il diktat lanciato dal Comitato per la sicurezza in agricoltura di Mantova a quei lavoratori musulmani che dal 20 agosto in poi dovranno osservare il digiuno imposto dal Ramadan.

Pronta la risposta del rappresentante della comunità islamica mantovana: «Nessun contratto di lavoro, nessuna norma giuridica prevede l'obbligatorietà del bere. E se qualcuno venisse licenziato per aver disatteso questa prescrizione, siamo pronti a sostenerlo anche legalmente».

Il caso non ha precedenti nemmeno a livello nazionale. Ma occorre partire dall'inizio, da un documento approvato dal Comitato per la sicurezza in agricoltura di Mantova di cui fanno parte Confagricoltura, Coldiretti, Cia, Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil.

Facendo proprie le prescrizioni del decreto legislativo numero 81 del 9 aprile 2008, recita: «Sia i lavoratori a rischio secondo il parere medico, sia quelli che lavorano in giorni ed orari particolarmente caldi e umidi, sono obbligati ad assumere acqua, pena la sospensione temporanea dell'attività lavorativa, mediante comunicazione scritta consegnata all'interessato anche per le vie brevi, oppure pena l'interruzione del rapporto in caso di recidiva secondo le norme contrattuali vigenti».

Il timore, ovviamente è quello di un'insolazione. «Un problema che si potrebbe presentare al riguardo per i lavoratori di religione musulmana è il periodo del Ramadan, che - evidenzia il Comitato - quest'anno inizia il 20 agosto e prosegue per circa un mese durante il quale si potrebbero verificare casi di rifiuto ad assumere acqua da parte del bracciante durante l'orario di lavoro».

«Poiché non esiste alcuna possibilità di deroga autorizzata da qualche autorità religiosa, occorre in ogni modo informare e far conoscere alla popolazione islamica osservante, che la tutela della salute viene prima di ogni pratica religiosa. In particolare - conclude il Comitato - il medico del lavoro sulla base delle condizioni fisiche del lavoratori, può prescrivere la necessità di bere acqua o soluzioni saline: indicazioni sufficienti di deroga dal precetto di divieto di bere durante il Ramadan». Insomma, nelle giornate più torride, il lavoratore musulmano può derogare al divieto di bere.

Sono centinaia i braccianti che nei giorni del digiuno saranno occupati in modo particolare nelle melonaie del Sermidese, del Viadanese e di Rodigo. Ma per qualcuno di loro, così com'è avvenuto l'anno scorso, l'imposizione di bere durante il Ramadan sarà disattesa.

Le organizzazioni agricole, in collaborazione con l'Asl, stanno distribuendo in questi giorni degli opuscoli informativi scritti in quattro lingue che spiegano ai lavoratori i possibili rischi da colpi di calore. Semplici accorgimenti, come bere acqua in abbondanza, possono evitare conseguenze talvolta letali. Quell'acqua che i musulmani non vogliono sentirsi obbligati a bere durante il Ramadan.

LE REAZIONI. «Non sono d'accordo sull'obbligo a bere e tantomeno sul licenziamento per chi a questo obbligo si sottrae». A parlare è Ben Mansour, il rappresentante della comunità islamica di Mantova che ha partecipato alle riunioni del Comitato per la sicurezza in agricoltura ma che non ha sottoscritto il documento.

Gli facciamo notare che la prescrizione è vista nell'ottica della tutela della salute del lavoratore. «Condivido l'impostazione - aggiunge - ma non l'obbligatorietà. Se durante il Ramadan un lavoratore musulmano non si sente bene, per prima cosa deve sospendere l'attività e se capisce che il malessere non è passeggero può senz'altro bere, perché quella è una sua decisione. Nessuna autorità religiosa può imporgli di farlo se lui non vuole. Il digiuno non può avere deroghe che non siano legate a gravi problemi fisici. In caso contrario un musulmano sa che per un giorno di digiuno disatteso ne dovrà fare altri sessanta» «Se qualcuno venisse licenziato per questo motivo come comunità scenderemo in campo per sostenerlo».

«Abbiamo preso questa decisione perché vogliamo tutelare fino in fondo la salute dei lavoratori - commenta Roberto Cagliari direttore della Coldiretti che presiede il Comitato per la sicurezza - L'anno scorso, nelle melonaie del Sermidese, il rifiuto a bere di numerosi lavoratori aveva creato non pochi problemi. E non possiamo dimenticare la tragica morte un anno fa di quell'indiano nelle campagne viadanesi». Per quella morte dovuta al mancato soccorso, l'agricoltore Mario Costa sta scontando otto anni di carcere.

LE ESENZIONI. Le organizzazioni agricole, in collaborazione con l'Asl, stanno distribuendo in questi giorni degli opuscoli informativi scritti in quattro lingue che spiegano ai lavoratori i possibili rischi da colpi di calore. Semplici accorgimenti, come bere acqua in abbondanza, possono evitare conseguenze talvolta letali. Quell'acqua che i musulmani non vogliono sentirsi obbligati a bere durante il Ramadan.

Ma cos'è il Ramadan? È il digiuno islamico e dura un mese. Consiste nel non assumere né cibo, né bevande, nel non fumare, nel non avere rapporti sessuali, nel non ingerire nessun tipo di sostanze (anche medicinali) per via orale e nel non introdurle nel corpo per qualsiasi altra via, dall'alba al tramonto. Si può essere esentati dal digiuno? Sì. Digiunare non è obbligatorio per una persona il cui corpo non può tollerare il digiuno per cause mediche.

Non è consentito a una donna che ha le mestruazioni o durante il postpartum. Per loro digiunare è illegale ma i giorni che perde li deve poi recuperare. Alla donna incinta è permesso di non digiunare se teme che un danno potrebbe derivare a lei o al suo bambino. Le persone in età avanzata se il digiuno compromette la loro salute. E infine i viaggiatori che compiono una distanza di «due giorni circa» di cammino (80 miglia) è permesso di non digiunare.
(13 agosto 2009)
__________

Per fortuna che tra i firmatari della direttiva ci sono anche i sindacati, altrimenti sarebbe saltato fuori senz'altro qualcuno che avrebbe gridato alla discriminazione. Che esito possano avere degli eventuali ricorsi è però tutto da vedere.
Lux-86
00venerdì 14 agosto 2009 12:19
Non è poi così sbagliata come cosa, del resto queste superstizioni andrebbero sradicate comunque.
Archimede91
00venerdì 14 agosto 2009 17:51
E' come se un negozio licenziasse tutti i suoi lavoratori perchè il titolare ha deciso di effettuare la sua attività anche a Natale o a Pasqua, e questo non permetterebbe agli impiegati di svolgere le proprie ricorrenze religiose.
E' sicuramente un caso unico questo del Ramadan. Penso che sia un buon motivo per accordare nel contratto di assunzione anche certi vincoli legati alla religione.
Certo chissà se sarà legalmente giusto punire l'impresa o i lavoratori. Vedremo se accade qualcosa il 20!
Lpoz
00venerdì 14 agosto 2009 19:28
bhe, direi che si tratta comunque di una necessità per salvaguardare la salute degli operai...

e poi si parla tanto di morti bianche..
princepsoptimus
00venerdì 14 agosto 2009 19:55
a favore del sindacato
DarkWalker
00venerdì 14 agosto 2009 20:51
favorevole all'obbligo di abbeverarsi.
Quando ci lavoravo io nei campi, piuttosto bestemmiavo perchè la pausa per bere non arrivava mai.
Archimede91
00sabato 15 agosto 2009 11:04
Vero... meglio non dare il pretesto di parlare di morti sul lavoro...
-Giona-
00lunedì 17 agosto 2009 09:16
Pare che la questione si sia risolta in questo modo: chi non vuole bere durante il giorno firmerà una liberatoria in cui si assumerà tutta la reponsabilità del suo comportamento in caso di malore.
-Giona-
00martedì 18 agosto 2009 11:17
Della stessa serie...
www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=374744

martedì 18 agosto 2009, 09:47
Gb, burqini obbligatorio nelle piscine

di Francesco De Remigis

Nell’Inghilterra della regina, da qualche anno diventata l’isola dei tribunali coranici – fenomeno che il ministro ombra per gli Affari sociali, Sayeeda Warsi, ha già definito «apartheid legale» –, il processo di islamizzazione che investe l’Europa abbatte un nuovo muro. Le restrizioni ispirate alla legge coranica hanno infatti raggiunto alcune piscine dove, alle specifiche sessioni dedicate ai musulmani, presenti già da anni, si è aggiunto un altro tassello: il divieto di presentarsi in abiti non conformi alle tendenze musulmane è stato esteso a qualunque natante, dunque anche ai non-islamici. A darne notizia è il quotidiano inglese Daily Telegraph, che racconta cosa accade in queste speciali turnazioni, in cui donne e uomini non possono nuotare nella stessa vasca in alcune ore della settimana. Più precisamente, ogni sabato e domenica per circa un’ora e mezza, molte piscine si trasformano in luoghi pubblici dove il codice di abbigliamento proviene direttamente dalla tradizione coranica più intransigente, non consentendo l’esposizione del corpo della donna, anche parziale, al di fuori del contesto privato e matrimoniale.
A Sud di Londra, presso il Thornton Heath Leisure Centre, è stato infatti vietato l’ingresso in piscina ad alcune ragazze sprovviste dell’ormai diffusissimo burqini, l’abito che cinge dal collo alle caviglie fino ai polsi; mentre agli uomini che nuotano separati dall’altro sesso è stato richiesto uno speciale abbigliamento che copra il corpo dall’ombelico al ginocchio. Regole simili, secondo il quotidiano britannico, si applicano anche allo Scunthorpe Leisure Centre, nel North Lincolnshire, dove tutti gli utenti devono seguire lo speciale codice di abbigliamento in vigore durante queste sessioni: T-shirts e calzoncini che coprono fino al ginocchio.
Non è però soltanto questione di abbigliamento. A far discutere gli inglesi, e a preoccupare le famiglie e buona parte dei politici che apprendono dalle statistiche come nelle scuole e nei licei d’Oltremanica si parli l’arabo ormai al pari dell’inglese, c’è soprattutto la possibile diffusione di un sentimento di separazione fra culture, che genera una diversa interpretazione della legge per i musulmani già oggi, come testimoniano i circa ottanta tribunali islamici nati dal 1982. Si tratta di corti che operano a porte chiuse e contemplano, tra l’altro, poligamia, ripudio della moglie e prevenzione dei matrimoni misti; finanche una più rigida separazione dei sessi nella società simile a quella in vigore in Arabia Saudita o in Iran.
Nelle piscine di Glasgow, per esempio, sessioni per soli uomini sono regolarmente promosse presso il North Woodside Leisure Centre e organizzate da un’associazione che anima la locale moschea. Un gruppo di islamici tradizionalisti che, in nome del rispetto dei culti e delle tradizioni, ha ottenuto che il divieto sia esteso a tutti i clienti: chi accede alle vasche deve nei periodi da loro promossi obbligatoriamente restare con il corpo coperto dall’ombelico al ginocchio. L’abbigliamento da bagno conforme alle tradizioni dell’islam più intransigente fa discutere in ogni parte d’Europa, dove si accendono polemiche legate anche ad altre tradizioni e precetti musulmani. Tra pochi giorni, per esempio, si apre il mese sacro del digiuno di Ramadan. I braccianti agricoli di fede islamica del Nord Italia saranno obbligati a bere anche durante il periodo di digiuno, per evitare malori sul posto di lavoro. Ad obbligarli è una prescrizione del Comitato per la sicurezza in agricoltura di Mantova costituito dai rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali agricole Coldiretti e Confederazione italiana dell’agricoltura e dei sindacati agricoli di Cgil, Cisl e Uil. Dai braccianti agricoli e il Ramadan alla preghiera nelle strade di Milano, dal costume integrale alle nozze «segregate» che hanno infastidito un ministro del governo britannico, le reazioni europee agli usi e costumi islamici degli immigrati variano da Paese a Paese. È stato il caso di una ragazza musulmana allontanata da una piscina pubblica nei pressi di Parigi nei giorni scorsi a riaccendere per esempio in Francia il dibattito sul velo islamico. Cuffia, tunica e burqini fino alle caviglie, abbinati in modo non adeguato, hanno infatti convinto i responsabili della struttura francese a non accettare la cliente, non considerando i capi conformi allo standard igienico-sanitario della piscina.
__________________

Effettivamente quando ho visto le foto dei "burqini" ho pensato che, così com'erano fatti, non erano molto adatti per stare in piscina: avrebbero dovuto essere molto più attillati, ma in questo modo avrebbero finito col mettere in evidenza proprio le forme femminili che fli islamici erano ossessionati a nascondere.
Lpoz
00martedì 18 agosto 2009 14:19
Re:
Archimede91, 15/08/2009 11.04:

Vero... meglio non dare il pretesto di parlare di morti sul lavoro...




bhe, direi che qua si cerca propio di evitarle...
DarkWalker
00mercoledì 19 agosto 2009 02:45
per me non è un buon compromesso. Se io lavoratore firmo una liberatoria per gli incidenti sul lavoro e poi mi sfracello cadendo da una gru col cavolo che un tale patto potrebbe essere accettato
Lpoz
00mercoledì 19 agosto 2009 06:50
Re:
DarkWalker, 19/08/2009 2.45:

per me non è un buon compromesso. Se io lavoratore firmo una liberatoria per gli incidenti sul lavoro e poi mi sfracello cadendo da una gru col cavolo che un tale patto potrebbe essere accettato




certo che no..
ma in questo caso, visto che si tratta del voler rispettare un precetto religioso, che va contro il comune senso della logica, è corretto che il datore di lavoro, la cooperativa o chi per esso si tuteli con una liberatoria.
Non si può vietare il rispetto del Ramadan, ma si può evitare che la colpa dell'eventuale morte, ricada sul datore di lavoro che ha comunque correttamente avvistato del pericolo che comporta il non bere durante lo svolgimento del lavoro...
-Giona-
00mercoledì 19 agosto 2009 09:55
Re:
DarkWalker, 19/08/2009 2.45:

per me non è un buon compromesso. Se io lavoratore firmo una liberatoria per gli incidenti sul lavoro e poi mi sfracello cadendo da una gru col cavolo che un tale patto potrebbe essere accettato


Effettivamente c'è il rischio che si crei un precedente grazie al quale i datori di lavoro possono "lavarsi le mani" di fronte ad incidenti di vario tipo.

DarkWalker
00mercoledì 19 agosto 2009 12:49
Re: Re:
Lpoz, 19/08/2009 6.50:




certo che no..
ma in questo caso, visto che si tratta del voler rispettare un precetto religioso, che va contro il comune senso della logica, è corretto che il datore di lavoro, la cooperativa o chi per esso si tuteli con una liberatoria.
Non si può vietare il rispetto del Ramadan, ma si può evitare che la colpa dell'eventuale morte, ricada sul datore di lavoro che ha comunque correttamente avvistato del pericolo che comporta il non bere durante lo svolgimento del lavoro...



non si può mettere il lavoratore subordinato in condizione di fare un patto che vada al peggiramento della sua salute sul posto di lavoro.
Il datore di lavoro è è il responsabile della sicurezza dei suoi lavoratori, tutelandoli anche da se stessi.
Io avrei optato per l'obbligo di bere, ma se questo proprio non si poteva fare, la colpa p del datore di lavoro che ha assunto gente che non poteva svolgere il proprio lavoro se non scegliendo fra fede e salute.
Lpoz
00mercoledì 19 agosto 2009 14:15
Re: Re: Re:
DarkWalker, 19/08/2009 12.49:



non si può mettere il lavoratore subordinato in condizione di fare un patto che vada al peggiramento della sua salute sul posto di lavoro.
Il datore di lavoro è è il responsabile della sicurezza dei suoi lavoratori, tutelandoli anche da se stessi.
Io avrei optato per l'obbligo di bere, ma se questo proprio non si poteva fare, la colpa p del datore di lavoro che ha assunto gente che non poteva svolgere il proprio lavoro se non scegliendo fra fede e salute.




non li avesse assunti già vedo i totoli e le polemiche:

non assunti perchè mussulmani, gli agricoltori italiani sono razzisti e xonofobi..

e poi via alle mega lotte dei centri sociali, dei cobas, dei sindacati...

dai, sappiamo bene come vanno queste cose...
Armilio1
00mercoledì 19 agosto 2009 16:32
Concordo con Lpoz. Il datore di lavoro assume, poi sta ad ogni persona comportarsi come meglio crede, l'imprenditore non è mica una balia dei sui dipendenti. Lui ha predisposto tutto in modo che i suoi dipendenti siano al sicuro, poi se loro non vogliono essere aiutati, cavoli loro. Al massimo la colpa è dell'immigrato che ha preso questo lavoro senza pensare che poi non poteva bere durante il ramadan. In ogni caso penso che il compromesso raggiunto sia la migliore soluzione possibile.
DarkWalker
00mercoledì 19 agosto 2009 16:38
Re: Re: Re: Re:
Lpoz, 19/08/2009 14.15:




non li avesse assunti già vedo i totoli e le polemiche:

non assunti perchè mussulmani, gli agricoltori italiani sono razzisti e xonofobi..

e poi via alle mega lotte dei centri sociali, dei cobas, dei sindacati...

dai, sappiamo bene come vanno queste cose...



ah perchè il problema non è salute, tutela, disuguaglianza, ma le polemiche.
Che dire...
DarkWalker
00mercoledì 19 agosto 2009 16:46
Re:
Armilio1, 19/08/2009 16.32:

Concordo con Lpoz. Il datore di lavoro assume, poi sta ad ogni persona comportarsi come meglio crede, l'imprenditore non è mica una balia dei sui dipendenti. Lui ha predisposto tutto in modo che i suoi dipendenti siano al sicuro, poi se loro non vogliono essere aiutati, cavoli loro. Al massimo la colpa è dell'immigrato che ha preso questo lavoro senza pensare che poi non poteva bere durante il ramadan. In ogni caso penso che il compromesso raggiunto sia la migliore soluzione possibile.




il datore di lavoro ha il dovere di garantire i suoi dipendenti (infatti sono proprio curioso, se succedesse il patatrak, di vedere come andrebbe a finire in un tribunale). Non basta comprare tutti gli elmetti, occorre che il datore di lavoro istituisca e faccia vigere l'obbligo di metterselo.
La disparità di forze tra dipendente, per di più demente visto che è disposto a digiunare, e "padrone" non deve e non può essere lasciato alla filosofia del "cavoli loro".


Armilio1, 19/08/2009 16.32:

Al massimo la colpa è dell'immigrato che ha preso questo lavoro senza pensare che poi non poteva bere durante il ramadan.




ma figuriamoci, è il datore di lavoro a poter sapere in cosa consiste in pratica una determinata mansione, un determinato lavoro nei suoi mezzi di produzione, e quindi a selezionare chi prendere e chi no, non certo l'aspirante lavoratore subordinato per cui un tot all'ora è l'unica cosa che vede.
Archimede91
00mercoledì 19 agosto 2009 17:24
Io penso che il datore di lavoro, si deve preoccupare della salute dei propri lavoratori. Ma dato che tutto ciò nasce da una questione di costume, o di religione, il datore di lavoro potrebbe ridurre le ore di lavoro per il mese del ramadan, o magari nei casi in cui i lavoratori sono troppo stanchi potrebbe provvedere ad una sospensione. Ma, siccome parliamo di lavoro nei campi, io non credo proprio che un imprenditore si accolli la "spesa" di cercarsi altra manodopera per garantire il proprio ritmo di lavoro a causa di una usanza musulmana. Insomma, ci mettiamo ora ad assecondare tutti. Comunque le mie parole non sono di intolleranza. E' solo che è vero che loro , i lavoratori, hanno questa esigenza, ma anche il loro datore.

Comunque, nei casi in cui si parla di un lavoro dove vi sia una assicurazione dietro, ogni lavoratore deve rispondere a dei requisiti. Per esempio l'età. Ricordo che l'anno scorso avrei voluto lavorare in una azienda privata che si occupa di programmazione software. Il capo sezione mi ha detto che l'assicurazione non avrebbe ripagato alcun danno nè a me nè alla struttura e al resto. Ma qui già parliamo di una azienda più piccola e di altro genere in cui magari è possibile parlare tranquillamente di sospensione del lavoro. E comunque non è per niente faticoso fisicamente.

Bhe io comunque non credo che i paesi con maggioranza islamica si ferma per un mese!

Lpoz
00mercoledì 19 agosto 2009 21:41
Re: Re: Re: Re: Re:
DarkWalker, 19/08/2009 16.38:



ah perchè il problema non è salute, tutela, disuguaglianza, ma le polemiche.
Che dire...




ma invece il problema è propio la salute..
ed è per questo che si è arrivati a questa minaccia per non veder morire lavoratori su lavoratori, perchè cotti sotto il sole.

Non fosse fregato nulla nessuno si sarebbe preoccupato di questo aspetto.

la disuguaglianza dove sta??
nel fatto che i frutti della terra sono da raccogliere in questo caldo periodo, che purtroppo per loro coincide con il ramadan??

bhe, prendiamo una mega equipe di studiosi, e facciamo modificare lo sviluppo delle piante, così si potrà cogliere il tutto in un periodo più fresco e che non coicide con le festività.
così non creiamo disuguaglianza, per cui i mussulmani non possono lavorare nei campi come i cristiani, induisti, ebrei etc etc..
Lpoz
00mercoledì 19 agosto 2009 21:50
Re: Re:
DarkWalker, 19/08/2009 16.46:



il datore di lavoro ha il dovere di garantire i suoi dipendenti (infatti sono proprio curioso, se succedesse il patatrak, di vedere come andrebbe a finire in un tribunale). Non basta comprare tutti gli elmetti, occorre che il datore di lavoro istituisca e faccia vigere l'obbligo di metterselo.
La disparità di forze tra dipendente, per di più demente visto che è disposto a digiunare, e "padrone" non deve e non può essere lasciato alla filosofia del "cavoli loro".

ma figuriamoci, è il datore di lavoro a poter sapere in cosa consiste in pratica una determinata mansione, un determinato lavoro nei suoi mezzi di produzione, e quindi a selezionare chi prendere e chi no, non certo l'aspirante lavoratore subordinato per cui un tot all'ora è l'unica cosa che vede.




Verisimo, il datore di lavoro deve obbligare a lavorare in sicurezza (imbraghi, caschi, pantaloni e tutto il resto), e quindi è anche tenuto a obbligare il dipendetente che lavora nei campi a bere, in quanto ciò fa parte della tutela della sicurezza sul lavoro.


Il datore di lavoro sa in cosa consiste il lavoro certo...
ma anche il dipendete sa in cosa consiste..
se uno soffre di vertigini non potrà mai fare il ripara tetti...
Armilio1
00mercoledì 19 agosto 2009 21:52
Re: Re:
DarkWalker, 19/08/2009 16.46:




ma figuriamoci, è il datore di lavoro a poter sapere in cosa consiste in pratica una determinata mansione, un determinato lavoro nei suoi mezzi di produzione, e quindi a selezionare chi prendere e chi no, non certo l'aspirante lavoratore subordinato per cui un tot all'ora è l'unica cosa che vede.



Sì, ma nello stesso tempo non può obbligarli a bere senza minacciare di licenziarli se non lo fanno, e questo sarebbe una discriminazione religiosa e loro avrebbero il diritto di fare ricorso se li licenziasse. Magari il tribunale gli darebbe ragione, come potrebbe non dargliela, ma sarebbe comunque una situazione spiacevole. Quando entra in gioco la sfera religiosa le situazioni si fanno sempre delicate. Quindi penso che il compromesso raggiunto sia il migliore possibile, e che non sia un buon precedente per le situazioni da te previste perchè qui il problema era di natura religiosa.

Sul fatto che è il datore di lavoro a sapere come è fatto il lavoro, bhè...sanno benissimo cos'è il lavoro dei campi, probabilmente c'hanno pure già lavorato senza bere nel loro paese.

Lux-86
00mercoledì 19 agosto 2009 22:27

Sì, ma nello stesso tempo non può obbligarli a bere senza minacciare di licenziarli se non lo fanno, e questo sarebbe una discriminazione religiosa e loro avrebbero il diritto di fare ricorso se li licenziasse.



c'è un limite a tutto, allora un mussulmano potrebbe farsi assumere in una macelleria che tratta solo prodotti suini e, poi, non lavorare mai perché secondo la sua religione è carne impura.
DarkWalker
00giovedì 20 agosto 2009 01:42
Re: Re: Re: Re: Re: Re:
Lpoz, 19/08/2009 21.41:




ma invece il problema è propio la salute..
ed è per questo che si è arrivati a questa minaccia per non veder morire lavoratori su lavoratori, perchè cotti sotto il sole.

Non fosse fregato nulla nessuno si sarebbe preoccupato di questo aspetto.

la disuguaglianza dove sta??
nel fatto che i frutti della terra sono da raccogliere in questo caldo periodo, che purtroppo per loro coincide con il ramadan??

bhe, prendiamo una mega equipe di studiosi, e facciamo modificare lo sviluppo delle piante, così si potrà cogliere il tutto in un periodo più fresco e che non coicide con le festività.
così non creiamo disuguaglianza, per cui i mussulmani non possono lavorare nei campi come i cristiani, induisti, ebrei etc etc..




disuguaglianza nel senso di disparità fra lavoratore e datore di lavoro. Che non viene presa in considerazione.

DarkWalker
00giovedì 20 agosto 2009 02:20
Re: Re: Re:
Armilio1, 19/08/2009 21.52:



Sì, ma nello stesso tempo non può obbligarli a bere senza minacciare di licenziarli se non lo fanno, e questo sarebbe una discriminazione religiosa e loro avrebbero il diritto di fare ricorso se li licenziasse. Magari il tribunale gli darebbe ragione, come potrebbe non dargliela, ma sarebbe comunque una situazione spiacevole. Quando entra in gioco la sfera religiosa le situazioni si fanno sempre delicate. Quindi penso che il compromesso raggiunto sia il migliore possibile, e che non sia un buon precedente per le situazioni da te previste perchè qui il problema era di natura religiosa.




Prima del licenziamento ci sono altre sanzioni, es la sospensione dal lavoro (prevista in questo caso dalle parti sociali) o le trattenute in busta paga, sempre a titolo di esempio. I lavoratori licenziati avrebbero diritto di fare ricorso perchè il datore di lavoro poteva e doveva rendersi conto che stava assumendo persone che non avrebbero potuto lavorare se non contro i dettami della propria religione, le ha assunte lo stesso e non è che potesse rispedirle in mezzo a una strada. L'errore e la colpa del datore di lavoro stanno proprio a monte, nella scelta delle "risorse umane".




Sul fatto che è il datore di lavoro a sapere come è fatto il lavoro, bhè...sanno benissimo cos'è il lavoro dei campi, probabilmente c'hanno pure già lavorato senza bere nel loro paese.



appunto, nel loro paese, senza le garanzie di un posto civile (ma attenzione, venute meno con questo patto anche qui) e magari senza saperne i rischi. E visto che il ramadan a quanto ne so cambia periodo nel corso dell'anno, bisognerebbe vedere quanti di quei lavoratori hanno già sperimentato fare questo genere di lavoro a digiuno.
L'ottica in cui è stata proposta la vicenda è quel datore di lavoro (occidentale) che, poverino, si trova improvvisamente tra capo e collo la disgrazia di un precetto religioso (immigrato) impraticabile. A me sembra molto più realistica un altra ottica, quella secondo cui il datore di lavoro, pur potendo scegliere fra vari lavoratori, ha proceduto senza la necessaria diligenza assumendo a cazzo i primi che passavano per la strada senza nemmeno un periodo di prova nel contratto di lavoro. Resosi conto troppo tardi dell'errore comprende che i ritmi della sua attività produttiva verrebbero sconvolti inserendo ad esempio delle pause in più o cambiando gli orari per sfruttare le ore più fresche, tutte cose che si sarebbero risolte in una maggiore spesa per le sue tasche e in minor profitto. Quindi molto meglio sfruttare la religione altrui per fare un patto che di fatto deroga alle leggi italiane, che lo vederebbero responsabile, e cavarsela nel migliore dei modi (per lui): un patto che lo libera da ogni responsabilità, gli permette di mantenere il profitto più alto possibile, salvarsi la faccia indicando come causa del problema la (loro) religione e non le (sue) stupide assunzioni, rimanere sul mercato evitando tutti i risarcimenti che altrimenti lo farebbero fallire, a vantaggio di concorrenti più virtuosi che all'atto dell'assunzione sono riusciti a fare due più due.
Lpoz
00venerdì 21 agosto 2009 02:55
Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:
DarkWalker, 20/08/2009 1.42:




disuguaglianza nel senso di disparità fra lavoratore e datore di lavoro. Che non viene presa in considerazione.





e che disparità è scusa??

spiegati meglio
Lpoz
00venerdì 21 agosto 2009 03:02
Re: Re: Re: Re:
DarkWalker, 20/08/2009 2.20:

Armilio1, 19/08/2009 21.52:



Sì, ma nello stesso tempo non può obbligarli a bere senza minacciare di licenziarli se non lo fanno, e questo sarebbe una discriminazione religiosa e loro avrebbero il diritto di fare ricorso se li licenziasse. Magari il tribunale gli darebbe ragione, come potrebbe non dargliela, ma sarebbe comunque una situazione spiacevole. Quando entra in gioco la sfera religiosa le situazioni si fanno sempre delicate. Quindi penso che il compromesso raggiunto sia il migliore possibile, e che non sia un buon precedente per le situazioni da te previste perchè qui il problema era di natura religiosa.




Prima del licenziamento ci sono altre sanzioni, es la sospensione dal lavoro (prevista in questo caso dalle parti sociali) o le trattenute in busta paga, sempre a titolo di esempio. I lavoratori licenziati avrebbero diritto di fare ricorso perchè il datore di lavoro poteva e doveva rendersi conto che stava assumendo persone che non avrebbero potuto lavorare se non contro i dettami della propria religione, le ha assunte lo stesso e non è che potesse rispedirle in mezzo a una strada. L'errore e la colpa del datore di lavoro stanno proprio a monte, nella scelta delle "risorse umane".




Sul fatto che è il datore di lavoro a sapere come è fatto il lavoro, bhè...sanno benissimo cos'è il lavoro dei campi, probabilmente c'hanno pure già lavorato senza bere nel loro paese.



appunto, nel loro paese, senza le garanzie di un posto civile (ma attenzione, venute meno con questo patto anche qui) e magari senza saperne i rischi. E visto che il ramadan a quanto ne so cambia periodo nel corso dell'anno, bisognerebbe vedere quanti di quei lavoratori hanno già sperimentato fare questo genere di lavoro a digiuno.
L'ottica in cui è stata proposta la vicenda è quel datore di lavoro (occidentale) che, poverino, si trova improvvisamente tra capo e collo la disgrazia di un precetto religioso (immigrato) impraticabile. A me sembra molto più realistica un altra ottica, quella secondo cui il datore di lavoro, pur potendo scegliere fra vari lavoratori, ha proceduto senza la necessaria diligenza assumendo a cazzo i primi che passavano per la strada senza nemmeno un periodo di prova nel contratto di lavoro. Resosi conto troppo tardi dell'errore comprende che i ritmi della sua attività produttiva verrebbero sconvolti inserendo ad esempio delle pause in più o cambiando gli orari per sfruttare le ore più fresche, tutte cose che si sarebbero risolte in una maggiore spesa per le sue tasche e in minor profitto. Quindi molto meglio sfruttare la religione altrui per fare un patto che di fatto deroga alle leggi italiane, che lo vederebbero responsabile, e cavarsela nel migliore dei modi (per lui): un patto che lo libera da ogni responsabilità, gli permette di mantenere il profitto più alto possibile, salvarsi la faccia indicando come causa del problema la (loro) religione e non le (sue) stupide assunzioni, rimanere sul mercato evitando tutti i risarcimenti che altrimenti lo farebbero fallire, a vantaggio di concorrenti più virtuosi che all'atto dell'assunzione sono riusciti a fare due più due.





si bhe, ma qua sembra che il problema maggiore, anzi, la colpa sia del datore di lavoro e non di chi si deve adattare a vivere in un'altro paese, con altre regole e usanze...
da noi nessuno si scandalizza se il venerdì si mangia carne e non pesce, se si lavora il giorno di pasqua o di natale o il 31 di dicembre...
eppure potrebbe essere benissimo un cattolico praticante..

in base a quanto dici tu, il datore di lavoro si dovrebbe informare da chi sta per assumere, circa i suoi precetti religiosi, anzi, del suo credo, e scremare così le assunzioni.
quindi, un cattolico praticante non potrebbe lavorare in un centro commerciale perchè aperto la domenica, o un ebreo perchè aperto il sabato...

io non credo che il datore abbia delle colpe.
Lui cerca, chi trova prende.
se poi questi, non vogliono rispettare le regole per il lavoro in sicurezza, ben vengano i licenziamenti, meglio un disoccupato ma vivo, che un morto sul lavoro...
o sbaglio?
-Giona-
00venerdì 21 agosto 2009 11:40
Avevo sentito tempo fa che in Francia era successo proprio che un macellaio si era trovato dei problemi perché il dipendente musulmano che aveva assunto si rifiutava di toccare la carne di maiale. L'aveva perciò licenziato e il giudice aveva dato ragione al dipendente, stabilendo che il padrone doveva trovargli un altro lavoro in cui non fosse tenuto a maneggiare il maiale.

Per quanto riguarda la situazione in Italia, il Decreto Legislativo n. 216 del 9 luglio 2003 recita all’articolo 3, comma 3:

« Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima. Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell'idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare. »

Quindi uno potrebbe rifiutarsi di assumere dei musulmani per un lavoro da fare durante il Ramadan, anche se, come ha espresso Lpoz, credo che ciò porterebbe non poche polemiche.
-Kaname-chan
00venerdì 21 agosto 2009 15:36
Re:
DarkWalker, 14/08/2009 20.51:

favorevole all'obbligo di abbeverarsi.
Quando ci lavoravo io nei campi, piuttosto bestemmiavo perchè la pausa per bere non arrivava mai.




Non sapevo della tua trista giovinezza, costretto a spaccarti la schiena dietro il duro aratro [SM=x751545]



Il burkini invece io lo permetterei, alla fin fine è uguale a un costume da bagno europeo dell'ottocento. Le persone che portano un'altra cultura vanno integrate e non criminalizzate. Ovviamente questa integrazione deve avvenire con attenzione altrimenti si rischia di fare come gli inglesi che permettono ai musulmani di farsi giudicare secondo la sharia da tribunali improvvisati, con ovvia violenza dei diritti umani. Quindi permettere alle donne musulmane di andare in piscina vestite come vogliono è meglio che ghettizzarle altrove o farle sentire non gradite per il semplice motivo che io penso che sotto sotto vogliano essere come noi, quindi il contatto non potrà che favorire la loro apertura mentale, la loro presa di coscienza e, in definitiva, la loro civilizzazione [SM=x751545]

Senza però arrivare al punto che qualcuno se la prenda vedendo me in microcostume [SM=x751545]

DarkWalker
00venerdì 21 agosto 2009 21:24
Re: Re: Re: Re: Re:




si bhe, ma qua sembra che il problema maggiore, anzi, la colpa sia del datore di lavoro e non di chi si deve adattare a vivere in un'altro paese, con altre regole e usanze...



perchè è così.



da noi nessuno si scandalizza se il venerdì si mangia carne e non pesce, se si lavora il giorno di pasqua o di natale o il 31 di dicembre...
eppure potrebbe essere benissimo un cattolico praticante..



eh grazie, perchè noi anniamo un altra etica. Il mio ragionamento, cmq, impone la nsotra etica (o la non assunzione) agli islamici. Il patto che hanno raggiunto, il contrario.




in base a quanto dici tu, il datore di lavoro si dovrebbe informare da chi sta per assumere, circa i suoi precetti religiosi, anzi, del suo credo, e scremare così le assunzioni.
quindi, un cattolico praticante non potrebbe lavorare in un centro commerciale perchè aperto la domenica, o un ebreo perchè aperto il sabato...



uno può essere cattolico praticante ed essere disposto, cmq, a lavorare la domenica e confessarsi il lunedì.
Quello che dovrebbe fare è informarsi che il lavoratore che assume sia idoneo a svolgere le mansioni che gli saranno attribuite. Se non lo fa o la fa male, la responsabilità è sua (ognuno risponde per i mezzi e le persone di cui si avvale)



io non credo che il datore abbia delle colpe.
Lui cerca, chi trova prende.



beh certo, con questo ragionamento ovvio che il datore di lavoro può sbattersene di assumere persone idonee. Fortunatamente non è così almeno da decenni di evoluzioni di diritto civile. forse è anche per questo che non abbiamo ciechi che fanno i tassisti.



se poi questi, non vogliono rispettare le regole per il lavoro in sicurezza, ben vengano i licenziamenti, meglio un disoccupato ma vivo, che un morto sul lavoro...



quindi fammi capire, il proprietario di una centrale di produzione assume un tonto alla vigilanza, questo ne fa di tutti i colori, la centrale scoppia e la colpa è del demente e non di chi gli ha comandato di fare qualcosa al di sopra delle sue possibilità?

Cmq ti faccio ancora notare che il aptto raggiunto va nelle direzione opposta: niente licenziamento (che manderebbe in perdita il datore di lavoro) e semmai insolazioni.


o sbaglio?




-Kaname-chan, 21/08/2009 15.36:




Non sapevo della tua trista giovinezza, costretto a spaccarti la schiena dietro il duro aratro [SM=x751545]



o che qualcuno se la prenda vedendo me in microcostume [SM=x751545]




già, una infanzia molto dura, altro che oliver twist, passata fra le piantagioni di viti elvetiche. Gli altri untermensch mi chiamavano zio tom. Vabeh sempre meglio i crucchi che la cirio. Scherzo, in realtà sto collezionando lavori umili per la mia futura candidatura: dopo il presidente operaio avrete il presidente commesso e il presidente contadino.
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