00 19/03/2006 02:25
Nostalgia Chinaglia
di Stefano Olivari

Qualche giorno fa, all’Autogrill Aglio Est, dopo aver rovistato freneticamente nei soliti cestoni, abbiamo acquistato i dvd di ‘Mezzo destro mezzo sinistro’, ‘Il tifoso, l’arbitro e il calciatore’ e ‘Paulo Roberto Cotechinho centravanti di sfondamento’, che comunque già avevamo in videocassetta. Insomma, siamo cultori del trash anni Ottanta, a volte con l’alibi 'giustiano' del secondo livello di lettura. Siamo cultori di questo trash, ma non fino al punto di entusiasmarci per il ritorno di Chinaglia alla presidenza della Lazio, visto il precedente del 1983, quando con i soliti ‘imprenditori americani’ arrivò a guidare la sua società proprio in occasione del ritorno in serie A, dopo tre anni in serie B (uno per la retrocessione da calcioscommesse e due per demeriti). Già c’erano Giordano e Manfredonia, con i buoni uffici di Boniperti arrivò dal Broendby Michael Laudrup, mentre dal Brasile giunse Batista, stella dell’Internacional di Porto Alegre che non si era ambientata né nel Gremio né nel Palmeiras. La prima stagione una salvezza faticosa, la seconda un’altra retrocessione. In mezzo mille episodi alla Chinaglia, di quelli che hanno contribuito a costruire il suo mito insieme alle pistole nello spogliatoio e ai vaffanculo a Valcareggi, ma anche a tante partite da trascinatore vero e da personaggio capace di entrarti nella testa. Il proposito di tornare in campo, con realizzazione impedita dal regolamento, il tentativo di aggressione (con un ombrello) dell’arbitro Menicucci dopo un Lazio-Udinese, le minacce ai suoi giocatori, con mani alzate e bottiglie rotte, dopo un derby perso senza buttare il cuore in campo: questi i picchi della presidenza Chinaglia. Inutile ripercorrere la storia della società fino ai giorni nostri, ma comunque si può dire che in un paese serio la Lazio post-cragnottiana sarebbe fallita, dando una mazzata anche alle banche (sarebbe meglio dire ‘alla banca’) che l’avevano finanziata. Ma complici la rateizzazione dell'enorme debito fiscale e qualche altro favore la baracca è rimasta in piedi e Lotito ha fatto il meglio possibile, sia sul piano gestionale che su quello tecnico, dando per scontata l’impossibilità nei secoli a venire di raggiungere le tre sorelle. Chissà cosa ha raccontato alla Consob, Long John. Poco o niente, da quello che si sa: un 'gruppo chimico' che al momento non si vuole scoprire, tanti progetti e poco altro. Il minimo, per sfuggire all'accusa di aggiottaggio. Quello che si capisce fin troppo bene è perché gli ultras della Lazio abbiano abbandonato la squadra, tifando per la nuova cordata. Lo spettacolo dell’Olimpico, domenica scorsa contro la Reggina, è stato memorabile, con un numero di paganti (269[SM=g27762] imbarazzante (sul Corsport abbiamo letto di un Lazio-Varese del 6 giugno 1982, in serie B, con 2200 biglietti venduti), che unito agli abbonati realmente presenti (dei 18640 metà sarà rimasta a casa) ha portato gli spettatori totali a numeri che non si vedevano dai tempi dell’esilio al Flaminio per i lavori di Italia Novanta. Insomma, al di là degli annunci degli Irriducibili e dei penosi balbettii dei giocatori (comprensibili, non facciamo gli eroi con la pelle degli altri), da Di Canio in giù, una situazione a prima vista inspiegabile. C’è una squadra da centroclassifica sulla via del risanamento, con buone prospettive di tornare in alto, e i tifosi preferiscono un progetto fumoso, portato avanti da uno che da dirigente ha già fallito? Non solo a Roma, ma anche a Foggia e a Lanciano…Senza mezzi termini, il prefetto di Roma ha parlato di tifosi che vogliono condizionare scalate societarie, tanto che addirittura Carraro (uno non esattamente lontano dal mondo Capitalia) si è svegliato. Inutile buttarla sul finanziario (la Lazio è la quinta società in Italia per incassi televisivi) o sullo sportivo, visto che tutti possono valutare la rosa attuale. Ma il calcio non è uno spettacolo, come tutti sanno, e nemmeno uno sport: è un’emozione, un brivido, un'immagine che non si controlla. Se la percezione è che Lotito sia poco più che un bravo affarista, uno che facendo magari gli interessi della Lazio farà anche quelli delle sue attività immobiliari (e di quelle del suocero Mezzaroma), questa percezione, oltretutto fondata, non sarà distrutta da nessun ragionamento del mondo. Meglio vivere o morire con Chinaglia che tirare avanti con Lotito: fuori dalle logiche ultras, in tutto questo c’è il senso e il non senso del calcio. Brutto, emozionante, romantico e cialtrone: in ogni caso più forte delle recite tipo Juve-Milan, dove solo qualche attore non aveva letto il copione…