00 28/11/2009 00:19
Ok. Il mio senso di colpa ha smosso la mia coscienza. Ecco il primo commento, quello alla storia di Jean.
L’altro, quello perduto, era più lungo e più dettagliato… ma forse anche un po' ridondante. In ogni caso coprirò lo stesso tutti i punti che mi stanno a cuore, anche se sarò più sintetica.

Commento a 2013

Vaga, vaghissima… questa è la definizione che per prima mi è venuta in mente per questa storia.
Era rischioso tentare il genere apocalittico, tanto utilizzato in libri e film, ma l’esperimento è ben riuscito.
Bella la scelta di una catastrofe statica, con questa sensazione, come diceva qualcuno, di "gelo cosmico", di attesa, di ineluttabilità dell'indeterminato. Al cinema vanno le catastrofi spettacolari con fughe e inondazioni, ma il genere alla "the stand" o "io sono leggenda", dove c'è silenzio dopo la fine del mondo, è quello che secondo me rende meglio. E tu ti sei inserita nel filone in modo egregio.
Lo stile è scorrevole, accompagna bene il lettore nelle sensazioni dei personaggi, che alla fine sono le vere protagoniste. Le immagini evocate da queste frasi brevi, lapidarie, creano perfettamente la sensazione opprimente di una fine che non lascia scampo. Il dio che batte le ciglia una volta di troppo è l'immagine che ho preferito, mi ha lasciata piacevolmente inquietata.
E’ una storia pervasa d’incertezza, prima grande protagonista. Il lettore si chiede cos’è successo, continua a leggere curioso, spera di capire cos’è successo ma non resta deluso dalla vaghezza del finale, perché è in tono con il resto del racconto e in fin dei conti un finale più preciso, una volontà di spiegare a tutti i costi, avrebbe rovinato la magia dell’atmosfera evocata. Si respira l’atmosfera inquietante di disorientamento dei personaggi (bella la trovata dell’iniziale uguale per i sopravvissuti. Lo prenderò come un capriccio del Creatore). Nemmeno le stelle sono più una certezza, in realtà. Certo, si vedono meglio, ma si percepiscono come una minaccia, come qualcosa di distante e alieno alla tragedia. Una sensazione di freddo che ho percepito e apprezzato.
Il senso di perdita è un altro protagonista. La perdita delle storie sintetizza benissimo, almeno per me, il significato di fine del mondo. Ha senso raccontare le storie di un mondo finito? Questa domanda mi ha ricordato il diario di Fran in The Stand, con le cose da ricordare. Cose che non ci saranno mai più, ma che comunque si ha l’urgenza di raccontare a chi non potrà mai vederle. L’umano desiderio di scrivere, di narrare, questa piccola inutile speranza, mette angoscia oltre che tenerezza.

Quello che ho preferito sono certamente le immagini, talmente evocative da essere quasi cinematografiche, e le sensazioni che sei riuscita a evocare. Complimenti davvero, era una sfida difficile cimentarsi con un genere così specifico!
[Modificato da Cielo Amaranto 28/11/2009 00:23]